Il Conflitto nordirlandese – noto anche con il termine inglese “The Troubles” – è stato raccontato sul grande schermo e con successo in diverse pellicole, di cui ricordiamo, tra le più recenti e riuscite, “Hunger” (2008), di Steve McQueen, e “Doppio Gioco” (2012), di James Marsh. Entrambe trattavano l’argomento in modo forte, esplicito, senza mezzi termini. Ciò in cui ci s’imbatte vedendo “Il Viaggio – The Journey” – presentato Fuori Concorso alla 73. Mostra del Cinema di Venezia e uscito nei cinema giovedì scorso – è qualcosa di ben più edulcorato e convenzionale, seppur estremamente godibile.
Ispirato a fatti reali e ambientato nel 2006, il film racconta dell’incontro, in Scozia, di due leader politici dell’Irlanda del Nord – il predicatore protestante Ian Paisley e il repubblicano Martin McGuinness – che, dopo essere stati in competizione per quarant’anni, si trovano a stare a stretto contatto durante un viaggio in macchina, architettato da un agente di sicurezza del governo inglese, con l’intento di portare a termine un importante accordo di pace.
Le intenzioni del regista Nick Hamm – vincitore di un Bafta Award per il cortometraggio “The Harmfulness of Tobacco” – e dello sceneggiatore Colin Bateman virano, di certo, più sulla commedia brillante “on the road” che sul dramma; ma, al di là delle immagini e dei dialoghi, ciò che rimane più impresso è la recitazione degli attori. Dal protagonista Timothy Spall – grande interprete, un po’ troppo sottovalutato – al comprimario Colm Meaney – che riesce a tenergli testa, da ottima spalla . Senza dimenticare il compianto sempreverde John Hurt – scomparso un paio di mesi fa – e il giovane Freddie Highmore – talento prodigioso visto, da bambino, in “Neverland – Un Sogno per la Vita” (2004) e ne “La Fabbrica di Cioccolato” (2005), tra gli altri.
Tra i paesaggi scozzesi – ripresi attraverso una regia canonica, a tratti televisiva e non sempre all’altezza – i due nemici provano a confrontarsi, riflettendo sulle colpe che entrambi devono espiare e sforzandosi, ciascuno, di accettare i danni che l’altro ha fatto in passato; così da chiudere quella triste pagina di storia, definitivamente. Il dibattito storico-politico si accende, però, solo in alcune sequenze e quando sta per infiammarsi viene attecchito da qualche battuta o situazione ironica leggermente zuccherosa. In questo senso, il raggiungimento di un accordo e la simbolica stretta di mano che c’è stata tra queste due figure, nella realtà, sono un po’ la metafora stessa di un’opera cinematografica che cede al compromesso e non si mette in gioco fino in fondo; stando sempre in mezzo a uno spartiacque che separa un fiume silenzioso da un mare in piena tormenta.
Con un tale soggetto per le mani, si sarebbe potuto correre qualche rischio in più; invece, di scegliere la via del “politically correct“ che mira a una fascia di pubblico più vasta e facilmente addomesticabile. Al di là di ciò, gli spettatori indomabili potrebbero, comunque, passere novanta minuti, tutto sommato, piacevoli, apprendere qualche nozione storica in più e godersi un scontro tra titani raccontato quasi con lo stile di un “family movie”, che non è sempre un pregio.
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