TRA FIENO E FANGO
Johnny Saxby passa le sue giornate lavorando nella fattoria di famiglia, dispersa nella campagna del nord dell’Inghilterra. Gli unici sfoghi a questa vita contadina d’isolamento, sono delle sbronze notturne nei locali e del sesso occasionale. La routine di Johnny quotidiana cambia, improvvisamente, con l’arrivo di un ragazzo romeno – stabilitosi nella tenuta come lavoratore stagionale.
“La Terra di Dio (God’s Own Country)” (2017) è l’opera prima di Francis Lee, presentata a vari festival internazionali – tra cui il Sundance e la Berlinale – candidata a 1 BAFTA Award e vincitrice di 4 British Independent Film Awards – compreso quello per il Miglior Film Indipendente Britannico. Considerato il pedigree acquisito durante la scorsa stagione cinematografica, ci si aspettava molto da questo film – uscito tre giorni fa, nelle sale italiane.
Gli aspetti interessanti non mancano, a partire dalla sceneggiatura. Lee analizza bene la vita di campagna e il modo in cui essa possa essere frustrante e soffocante per un giovane omosessuale come il protagonista. Allo stesso tempo, c’è un contrasto tra durezza e dolcezza, che viene messo in luce sia nel modo in cui vengono trattati gli animali che nella relazione tra Johnny e Gheorghe. Nella disamina del loro rapporto, notiamo come uno diventi speculare per l’altro: Johnny – che, fino a quel momento, si approcciava in modo sfottente e rifiutava il contatto umano al di là del sesso puramente fisico – si scioglie grazie alla delicatezza di Gheorghe; che lo porta ad aprirsi ai sentimenti e a tirar fuori la parte più emotiva di sé, rimasta sempre nascosta.
La regia, invece, esalta i paesaggi dallo Yorkshire – nel nord dell’Inghilterra – e i dettagli di una natura quieta e silenziosa; che ben si sposano con un incontro sessuale e sensuale di corpi, consumato tra fieno e fango e caratterizzante di una buona parte della pellicola. In tal senso, si gioca molto sulla fisicità, sui volti e sulle mani: particolari di significativa importanza. Nella componente visiva, funziona molto anche la fotografia di Joshua James Richards, al suo secondo lungometraggio; così come danno volume alla storia le interpretazioni del cast principale: dai poco noti Josh O’Connor e Alec Secareanu ai veterani Ian Hart e Gemma Jones.
Mentre la prima metà del film è abbastanza riuscita, nella seconda – e, soprattutto, nel finale – vengono fuori degli sviluppi narrativi che risultano scontati, prevedibili e non del tutto all’altezza. I due protagonisti suscitano tenerezza, ma la loro relazione sentimentale non coinvolge abbastanza; anche per i limiti di uno script, qua e là, stagnante e per delle banalità evidenti – comuni sia alla filmografia etero che omo – come l’antipatia iniziale, che si trasforma in passione, attraverso un amplesso nato da uno scontro di rude mascolinità.
La tematica dell’immigrazione – appena accennata – avrebbe meritato maggiori approfondimenti; che avrebbero, sicuramente, aggiunto tensione a un plot confinato, esclusivamente, nella storia d’amore. In più, c’è da dire che il confronto con “I Segreti di Brokeback Mountain” (2005), di Ang Lee, è, costantemente, dietro l’angolo; per le troppe similitudini nella trama e per una sequenza che lo cita, quasi esplicitamente.
“La Terra di Dio” ha degli ingredienti pregevoli – e apprezzabili, sapendo che si tratta di un debutto – ma, nel complesso, appare già visto e non aggiunge molto di nuovo al genere “gay romance“. Se lo paragonassimo, poi, al recentissimo “Chiamami Col Tuo Nome” (2017), di Luca Guadagnino, scomparirebbe.
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